"Le mascherate sono manifestazioni in cui è d’obbligo che certi personaggi ritornino sempre uguali a se stessi. Diciamo che sono legate ad un copione che non riguarda solo il costume, ma anche il modo in cui appaiono, le cose che fanno, insomma tipologie di azioni che sono assolutamente fisse". (cit. Giovanni Kezich)
Un rituale dunque che, nel periodo di Carnevale, si ripete basandosi su tradizioni che possiamo considerare ancestrali. Il tutto amplificato dall'utilizzo di maschere che da una parte permettono di caratterizzare il personaggio interpretato e, dall'altra, di allontanarsi dalla propria quotidianità...
ed è su quest'ultimo punto che mi vorrei soffermare: ai più potrebbe sembrare un paradosso... ma se vedessimo la "maschera" come l'opportunità che alcuni attendono per sentirsi veramente "liberi" di essere se stessi visto che nessuno li riconosce?
Solo una provocazione? Non ne sono del tutto sicura...
per quanto riguarda le mascherate tradizionali del periodo carnevalesco mi permetto di segnalarti il racconto di un profondo conoscitore dei carnevali tradizionali (sì, proprio quelli con maschere di legno e grandi copricapi ricamati) - Giovanni Kezich, direttore del Museo degli usi e costumi trentini di San Michele - che trovi sul mio portale dedicato alla cultura ed agli eventi in Trentino, Quov.It (nel caso ti interessi clicca il link che ti porterà direttamente al post in questione ).
Qui invece proseguo... allontanandomi dalle maschere "genuine" per focalizzarmi su quelle che vengono indossate nella vita di tutti i giorni...
Ognuno di noi è più cose allo stesso tempo quindi perchè dovremmo ostiniarci a voler apparire qualcosa di diverso? E non penso solo all'idea filosofica dell'io... ma anche ad un, quasi banale, "risparmio di energie": penso agli sforzi di chi, quotidianamente, si autoimpone di indossare una o più maschere...
Un "modus operandi" che non ci ha sicuramente reso la vita più facile ed alcuni detti sono lì a dimostrarlo. Quali? Solo un paio di esempi: "Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio", "il mondo è dei furbi" etc...
Personalmente rimango dell'idea che una "via di fuga" ci sia e che non sia nemmeno così difficile da mettere in pratica: dare fiducia, dire quello che si pensa (in maniera quanto più pacata possibile) e non nascondersi... senza dimenticare, ovviamente, di fare un'analisi dettagliata di tutti gli scenari possibili... preparandosi, come ci insegnano i manager, a "the worst case scenario" ovvero "la peggiore delle ipotesi"...
Più difficile scrollarci di dosso le maschere che gli "altri" ci affibbiano: canoni che ci posizionano su una "fantomatica" scala dove - da 1 a 10 - veniamo inseriti come persone serie, bravi genitori o validi professionisti (la lista sarebbe ben più lunga... ma sentiti libero di aggiungere quel che più ti si addice).
Ecco allora che torniamo a Pirandello ed al suo romanzo: non siamo "uno" e nemmeno "nessuno"... probabilmente con il "centomila" Pirandello si è un po' lasciato prendere la mano... ma a qualche decina arriviamo tutti, abbondantemente.
La perfezione, si sa, non è di questo mondo e il primo grande beneficio nel non indossare una maschera è la "libertà di essere e non di apparire".
Se proprio non si riesce... almeno a Carnevale "Giù la maschera!".